Suonare a Bologna e dintorni: quando ti chiedono quanta gente porti.
Spesso i piccoli gruppi, come i Lemon Pills e tanti altri, si lamentano perché ci sono – almeno a Bologna e dintorni – pochi posti dove suonare. Ci piacerebbe rivitalizzare la scena musicale bolognese in collaborazione con qualche Istituzione comunale, ma non è di questo che vogliamo parlare oggi. L’argomento odierno riguarda la fatidica domanda che tutti i gestori di locali pongono alle varie band che si offrono per suonare:
quante persone portate?
A questa domanda segue spesso l’indignazione delle suddette band, che si sentono sfruttate e non valorizzate. Cerchiamo, però, di fare un ragionamento a mente fredda e cerchiamo di capire se la domanda sia del tutto fuori luogo.
Innanzitutto, ci sono varie tipologie di locali:
- quelli che hanno un pubblico assiduo e ospitano gruppi per intrattenere gli avventori;
- quelli che hanno poco pubblico e organizzano eventi musicali allo scopo di attirare più gente;
- quelli hanno pochissimo pubblico e organizzano eventi musicali confidando sui fan delle band per riempire il locale.
È naturale che anche nei primi due casi gli organizzatori sperino in una partecipazione da parte degli amici della band, ma la filosofia di gestione è quella di creare interesse intorno al locale, facendolo diventare punto di ritrovo a prescindere dal gruppo musicale invitato.
La scelta del gruppo, in quei casi, non è basata sul seguito della band, ma sulla qualità dell’intrattenimento. In alcuni casi è lo stesso locale che si fa promotore dei gruppi invitati, offrendo l’opportunità di farsi conoscere e sperando così che, nel tempo, si crei intorno alle band un certo seguito di persone che, avendo apprezzato la loro musica, siano attirate dalla locandina che promuove il loro prossimo evento live e tornino più volentieri (o magari apposta) nel locale.
Gestire un locale come al punto 3., invece, è un suicidio.
Se la band invitata è una delle tante, magari di ottima qualità, ma poco conosciuta, non si raggiungerà lo scopo. Il locale rimarrà vuoto, o, al massimo, riceverà la visita di una ventina di aficionados (invitati dal gruppo o raccolti attraverso serate organizzate dai locali promotori di cui sopra) che certamente non garantiranno il successo della serata né, tanto meno, la sopravvivenza del locale a media e lunga scadenza.
A noi è capitata una situazione del genere la settimana scorsa, a Imola, al pub Emilia31. Un bel posto, in un bel palazzo con soffitti affrescati, ma, forse perché ripreso in gestione da poco, ad oggi pochissimo frequentato dagli imolesi.
Alle 21, nel pub, c’erano 8 persone (venerdì sera!). Dalle 21.30 alle 22.30 sono arrivati alcuni nostri amici (una quindicina in tutto), alcuni dei quali, bevuta una birra e dopo averci salutato, hanno preferito tornare verso casa.
È evidente che non stiamo parlando di fans. Non siamo i Rolling Stones. Nessuno lo è. Neanche i Rolling Stones sono più i Rolling Stones, ultimamente. Ma è difficile che un ragazzo di Bologna, pur apprezzandoci, prenda la macchina con alcuni amici e si faccia una trentina di chilometri apposta per venirci a sentire. Verrà, magari, quando torneremo in centro a Bologna.
Il punto è che non è compito della band portare persone al locale. È compito del locale stesso, attraverso una promozione efficace e una gestione che, come detto, non punti tutto sul nome del gruppo invitato a suonare.
A meno che…
A meno che non si organizzi un evento con un nome vero, uno che attira gente perché ha venduto dischi, è stato in classifica, ha scritto canzoni amate da una (anche piccola) fetta di pubblico. Magari una vecchia gloria un po’ in difficoltà.
Non parliamo degli Stones, ma (per dire) di Francesco Baccini (vi prego: è solo un esempio), di John Martyn (il chitarrista acustico, di nicchia, ma molto apprezzato), del gruppo dell’ex bassista dei Jam, della band formata dai musicisti di Vasco, ecc.
QUESTI portano gente (e poi mica tutti e mica sempre). Ma di sicuro non si muovono per duecento euro! Il successo della serata, inoltre, dipende da quanto il locale riesce a promuovere l’evento. Se fa una promozione capillare, magari attira pubblico anche da 50 chilometri di distanza. Altrimenti, anche John Martyn si trova a suonare davanti a una sala vuota, come è successo a noi a Imola.
Ed ecco che, come per tutte le attività commerciali, anche per un pub vale il discorso sull’investimento pubblicitario necessario per farlo funzionare. Se invita John Martyn, tra compenso e promozione, magari spende duemila Euro, se non di più, e senza garanzie di successo. Ma è così che (forse) il pub riuscirà a costruirsi una reputazione che porterà molti a frequentarlo anche nelle serate in cui non c’è il nome di cartello.
Dunque, tornando alla partenza di questo lungo post, la domanda “quante persone portate?” non è sbagliata in sé, ma diventa sbagliatissima se chi la pone basa su questo il successo del locale. Un posto così è destinato a chiudere presto. E la colpa non sarà né dei Lemon Pills, né di John Martyn.
Suonate o gestite un locale e volete dire la vostra? Commentate qui sotto. Siete i benvenuti!